L’autorevolezza nella gestione dei collaboratori

Approcci innovativi per strategie di crescita basate sul benessere organizzativo

“Se dai troppo se ne approfittano… appena autorizzi una richiesta, diventa una concessione, si trasforma in regola e diventa un diritto acquisito.”

“In azienda è meglio tenere fuori emozioni e sentimenti… per non doversi pentire di aver dato troppo e senza ricambio! Anzi, è bene tenere tutto scritto in uno storico che consenta di procedere ai richiami disciplinari e al licenziamento per giusta causa.”

Non di rado raccolgo affermazioni di questo tipo da leader e amministratori d’impresa…

Ma, è proprio così?
Dov’è l’equilibrio, qual è il limite tra i vantaggi di una leadership emozionale e gli svantaggi della relazione empatica fondata sulla fiducia?

Per prima cosa chiariamo cosa vuol dire avere una leadership emozionale: non certo lasciarsi prendere dalle emozioni, siano esse di gioia, sconforto, di ira, panico o altro, quanto invece, essere in grado di accedere alla parte più emotiva di sé, per riconoscerla, esserne consapevoli, accoglierla e gestirla, al fine di poter fare lo stesso con i collaboratori, gestendo in modo sempre più chiaro, limpido e libero, la relazione, senza lasciarsi dominare dalle emozioni, ma incanalandole in flusso favorevole all’obiettivo.

Spiegato questo, una volta aver acquisito competenze di gestione emozionale, possiamo anche riuscire a gestire le relazioni in modo funzionale, ad aprire una comunicazione empatica e circolare, ad avviare processi di valutazione delle performance, che possono anche contemplare momenti di feedback costruttivo efficaci, fino ai richiami se necessario.

L’autorevolezza nella gestione dei collaboratori, che contempla la capacità di mettere in gioco competenze tecniche, competenze relazionali e gestione emozionale, consiste nella capacità di applicare regole chiare, supportate dal dialogo, dall’ascolto e dalla relazione autentica. E’ una modalità di relazione che si fonda sul rispetto delle regole, concedendo apertura e fiducia, creando le condizioni per la costruzione di relazioni funzionali.

Il timore di perdere il controllo, a causa della eccessiva apertura nella comunicazione e nella relazione, hanno a che vedere più con una mancanza di fiducia in se stessi e nella propria competenza di leadership e gestione dei collaboratori, che nella reale possibilità che alcuni o tutti i collaboratori possano confondere un’apertura in una debolezza, per poi approfittarne.

Anzi, quanto più il leader è consapevole di se stesso e si mostra fiducioso nella reciproca possibilità di accogliere una sfida di miglioramento continuo, tanto più cresce la percezione della sua autorevolezza, favorendone il rispetto e il riconoscimento.

E’ dando per primi ciò che si vuole, che si ottiene.

Il signore non è colui che umilia gli altri per innalzare se stesso, ma colui che fa sentire signori coloro che sono in sua presenza, poiché si umilia per non essere di ingombro a terzi, cita un detto anonimo. Queste sono le figure che più riconosciamo come maestri, come leader nella vita, coloro da cui impariamo perché sono esempio memorabile della loro autorevolezza.

Sono spesso il ricordo di amministratori del passato, un po’ padri un po’ padroni, che però avevano il piglio di coloro che -anche se con autorità-, si prendevano cura, il cui sguardo significava un importante riconoscimento, forse più dell’incentivo e della ricompensa economica.

Ma oggi, che la figura paternalistica dell’imprenditore/amministratore è tramontata, abbiamo la necessità di scoprire la bellezza dell’autorevolezza, di una gestione fondata su una relazione autentica, aperta e condotta verso una negoziazione win-win, un patto in cui si vince insieme.

“Ci sono rischi?”, mi chiedono.

Si, ma è l’unica via dell’evoluzione culturale e dell’innovazione organizzativa.

Autrice: Emanuela Megli

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